“Presenze in Galleria”
Nel 1992 la galleria inizia a pubblicare una collana di cataloghi, “Presenze in
galleria” caratterizzati da conversazioni inedite con gli artisti. Il genere
dell’intervista, a partire da Andy Warhol e dalla sua celebre rivista “inter/View”
della fine degli anni ’60, ha conosciuto, negli ultimi anni soprattutto, una
fortuna enorme. In queste, curate per lo più da Gianni Pozzi, molti artisti
forniscono con straordinaria semplicità indicazioni preziose per la comprensione
del loro lavoro e del mondo cui questo si riferisce.
Santo Ficara Srl
Via Ghibellina, 164, 50122 Firenze, Italia
IL MISTERO DEL QUADRO PIÙ BELLO
Conversazione fra John Picking e Gianni Pozzi
Con John Picking, che è un pittore inglese e secondo una illustrissima tradizione molto inglese, quella del Grand Tour, prima ha visitato il sud d'Europa, Spagna e Italia, e poi nella punta estrema di quello stesso sud, la Sicilia, ci si è addirittura trasferito, la conversazione non può che iniziare dal mito. Anzi, dal Mito con la maiuscola, perché è in virtù di questo, del Mito del Mediterraneo, che lui dipinge paesaggi siciliani, che sono misteriosissimi dietro l'apparente quotidianità, e oscuri e iniziatrici dietro la solarità splendente. Mari azzurri e grandi spazi silenziosi, pianure deserte sotto il sole, ma anche bassorilievi o frammenti di statue che affiorano dall'acqua di quel mare della Storia. O qualche figura di donna, nuda e silenziosa anche quella, che appare, negli anfratti di una grotta, e si esibisce, come in una danza rituale, additando o evocando chissà mai cosa.
Ma ancora compaiono colonne smozzicate e frammenti, ruderi di qualche tempio avviluppati da una vegetazione fittissima, tracce di antiche civiltà ormai sepolte: e che nell'insieme danno vita a un mondo di fantasmi. Fantasmi che vivono però una vita quotidiana. Perché Picking, accanto a queste evocazioni, dipinge poi interi cicli pittorici ispirati ai fatti reali: la vita di Militello Rosmarino, la vita e la storia di Palermo o chissà che altro ancora. E tutto si unisce: i miti e la vita quotidiana, le persone reali e le memorie, il pittore di oggi - Picking al caso e i pittori che proprio lì lo hanno preceduto. Così come fra questi soggetti di oggi tout se tient, così è anche per i soggetti di ieri: diversi indubbiamente, ma con molti elementi analoghi che ricompaiono, qua e là in una sorta di esistenza circolare, dove tutto è destinato prima o poi a tornare a sé.
G.P.
Nel '69, a trenta anni, sei partito da Londra in direzione dell'Italia. Doveva essere un viaggio di studio o poco più; è divento invece il segno di un destino, l'inizio di una vita completamente diversa. A vedere i tuoi dipinti, quelli di ieri e quelli di oggi, si direbbe tu fossi alla ricerca di antichi miti, i miti del Mediterraneo come culla di civiltà. Avevi idea tu di cosa cercavi esattamente?
J.P.
Non è stato così diretto il mio approccio all'Italia: in realtà, fin da quando ero studente all'Accademia d'arte a Edimburgo, la mia passione erano i pittori fiamminghi... Così feci un viaggio per Belgio e Olanda e qui nacque un'altra passione, quella per Bosch, forse il più fantastico dei pittori fiamminghi... Per vedere Bosch però bisognava andare al Museo Prado, a Madrid, così, quando vinsi una specie di premio dalla Scuola per un viaggio a Parigi io, che Parigi la conoscevo già, andai in Spagna. A Madrid sentii parlare di una comunità di scrittori e di artisti dell'isola di Ibiza, la cosa mi interessava enormemente e ci andai...Ecco, il mio rapporto col Mediterraneo comincia così, con la Spagna prima che con l'Italia...
Ma poi tornasti in Inghilterra...
Sì, naturalmente. Dopo un po' però ebbi un premio per un anno di studio e tornai a Ibiza. E ci rimasi un anno, dipingendo e incontrando gente. Era magnifica...Ancora un rientro in Inghilterra, ormai facevo l'insegnante in una scuola d'arte vicino Londra, e dopo un po', ecco un'altra vacanza-studio. Pensavo di tornare a Ibiza ma mi dicevo anche che non conoscevo l'Italia, e siccome in quella scuola dove lavoravo dovevo insegnare anche alcune nozioni di storia dell'arte, mi sembrava opportuno un viaggio in Italia...
Siamo al fatidico 1969 e al viaggio in Italia...
Sì, certo, lo avevo in mente di spostarmi per l'Italia studiando musei, ma anche dipingendo, e pensavo di iniziare questo mio viaggio dalla Toscana. Era gennaio però e pioveva, pioveva continuamente, dappertutto. così io scendevo sempre più a Sud, per sfuggire alla pioggia...così mi ritrovai in Sicilia.
Ma viaggiavi come, in treno?
No avevo comperato un vecchio furgone, di quelli che servono per i traslochi, e lo avevo trasformato in studio...
Fantastico, uno studio ambulante...
Sì, certo. In Spagna avevo avuto molti problemi per questo motivo. Ci ero andato in treno, portando con me, tele, cavalletti, colori, pacchi di materiali a non finire...Un disastro. Così, per venire in Italia acquistai quel furgone... Sai, avevo tolto il tetto in lamiera e l'avevo sostituito con un gran vetro, così avevo anche una ottima illuminazione per dipingere...Poi economico...
Un vero atelier su ruote...E quale tappe durante il viaggio?
Nessuna. È incredibile ma pioveva sempre, dappertutto... Come se qualcosa mi spingesse verso la Sicilia...e in pochi giorni infatti ci sono arrivato...
Ed è venuto il sole...
Sì, sembra il segno di un destino ma è così...Arrivato in Sicilia, a Messina, dovetti decidere che direzione prendere, Palermo o Catania...Avevo con me un Baedecker, quelle guide utilissime dove è indicato tutto. Così, appresi che la vegetazione, al nord della Sicilia, è più varia, e per questo forse anche il paesaggio è più interessante...E presi la strada nazionale della costa nord, l'autostrada non c'era ancora...Dopo un po' deviai all'interno, per non arrivare subito a Palermo...Arrivai in un primo paese, San Fratello, ma non mi piaceva, c'erano pochi alberi, sentivo che mancava qualcosa...Poi mi fu indicato, un po' a gesti e con qualche parola di spagnolo, un altro paesino, Alcara Li Fusi...Volevo andarci ma erano le cinque del pomeriggio, era inverno e si stava facendo buio. Mentre cercavo un posto per passare la notte trovai Militello, nella vallata del Rosmarino. Volevo passarci una notte e invece ci sono ancora...
Era così bello?
Sì. Da una parte c'è una vallata, dell'altra una grande montagna. Il paese è nel mezzo, su una roccia, dominato da un castello...Un paesaggio drammatico, di grande bellezza...E tutto intorno colline, boschi, olivi...e rosmarino appunto. Gli abitanti di Militello mi piacquero subito. Mi aiutarono a trovare un posto per sistemare il furgone e diventammo amici...Non volevo più partire...
Ma partisti...
Dopo sei mesi però. Mi costrinsi a continuare il mio giro per l'Italia, e lo continuai, Pompei, Roma, Arezzo, Siena, Firenze... Ma nulla era come la Sicilia. Poi c'era il lavoro, la scuola d'arte in Inghilterra...
Fu lì che avvenne la svolta.
Sì, ero tornato a casa e avevo ripreso il lavoro. Un anno dopo, una domenica mattina - avevo allestito una mia mostra a Hyde Park - capitò un americano. Gli piacquero i miei dipinti, ne acquistò alcuni e si offrì di sponsorizzare, diciamo così, il mio lavoro futuro. Non aspettavo altro: lasciai la scuola, l'insegnamento e tornai subito a Militello, dove avevo cominciato a costruirmi un vero studio e dove avevo lasciato un pegno, una scatola di colori... Era per gli amici di Militello, per rassicurarli che sarei tornato a riprenderla...
Certo, è singolare che un pittore lasci Londra per ritirarsi in uno sperdutissimo paesino siciliano...
Me lo fece notare, anni dopo però, in un pub di Londra dalle parti di Charing Cross, un celebre scultore inglese, Anthony Caro...Sosteneva che l'unico posto dove un artista oggi può lavorare è New York...Io non sono d'accordo con questa idea dei luoghi fissi dell'arte: in un certo momento tutti a Parigi, poi tutti a New York, poi in Germania...Sono posti dove tutto succede, questo è vero, ma ogni spostamento per me è stato un arricchimento, anche nei villaggi più sperduti...
Controcorrente nelle scelte di vita, ma anche controcorrente nelle scelte artistiche, caro Picking. E ammetterai che questo è singolare...In mezzo alle neoavanguardie degli anni '70, e a Londra per di più, tu facevi una pittura singolarissima, legata alla tradizione figurativa e il mito, come se tu volessi tenerti in disparte...
Non è questione di tenersi in disparte. Quando ero ancora studente i miei insegnanti mi parlavano di astrattismo e mi indicavano Albers e tutte le esperienze minimale...Io, come tutti i giovani, ne ero influenzato, e anche senza arrivare a quei radicalismi dipingevo cose molto minimali, sfondi piatti, strisce di colore, geometrie...Vedi? Queste (e indica sul catalogo alcuni dipinti degli anni '60). Uno di questi dipinti in stile minimalista finì in una mostra, una rassegna di giovani pittori che ebbe molto successo e che fu riallestita in varie città...Avrei dovuto esserne contento, era una occasione, e invece mi ci arrabbiai...Mi resi conto che le mie cose erano uguali a quelle di tutti gli altri, facevo la pittura che facevano tutti, ma non era quella la mia strada...
Cosa c'era in quella pittura che non andava?
Era fredda, geometrica, frutto di soli calcoli...E mentre mi ribellavo a questa idea di pittura, nella quale ero finito anch'io pensavo alla Spagna...Là era la vita, non in quelle geometrie...Questo coincise poi con la mia fuga in Sicilia...
La tua era una polemica anche contro i metodi dell'insegnamento della pittura nelle scuole d'arte...
Negli anni '60, nelle scuole, non si insegnava più la pittura...Ogni studente veniva considerato un artista, un creativo, e non gli si insegnava niente...Quelli della mia generazione si erano ribellati all'accademismo, tutti noi eravamo ribelli, ma ci ribellavamo a quel che si conoscevamo, a quel che avevamo appreso...Si può cambiare quel che si conosce, guarda Picasso, i suoi primi dipinti sono di un accademismo raffinato, ma i giovani delle generazioni successive, quelli che non appreso niente, contro cosa si ribellano? È il vuoto, solo il vuoto...
Capisco. Però anche nei tuoi lavori degli anni '60, in mezzo alle astrazioni, sono evidenti molti elementi figurativi, forme simboliche che rimandano a un passato mitico...ho cioè l'impressione che tu sia sempre stato te stesso...
Forse c'è stata una evoluzione logica, un progresso no: non esiste progresso in pittura...E c'è anche un altro motivo. Io ho bisogno sempre rinnovarmi, non riesco a fare quelle che si chiamano le variazioni sul tema. Invidio quei pittori che su uno stesso motivo riescono a fare decine di dipinti, solo intervenendo con minuscole variazioni dell'uno all'altro. Io no, non ci riesco, mi annoio,ho bisogno di cambiare. E cambio. Poi magari, dopo molto tempo, torno con nostalgia a cose abbandonate precedentemente...forse è per questo che trovi nei dipinti attuali tracce di vecchi dipinti...
Mi piace questa tua idea circolare della pittura, dove tutto torna anche a distanza di anni. E dove sono presenti anche riferimenti precisi. In quel 1969, all'epoca del tuo primo viaggio in Italia, a quali pittori pensavi?
A pochi, ai primitivi senesi e ai pittori del Rinascimento, a Piero della Francesca e a Botticelli...
C'è un tuo dipinto omaggio a Max Ernst, il grande maestro del Surrealismo...
Sì. l'aspetto surreale e metafisico delle cose mi interessa molto. Quell'omaggio a Max Ernst ha però una storia precisa. Nel '75 a Parigi avevo visto una grandissima mostra di Ernst e mi aveva molto colpito. Nello stesso tempo in Sicilia c'era stato un terremoto. E quando vidi i paesi diroccati sulle colline delle zone terremotate mi sembrò di rivedere un dipinto Ville di Ernst...Così dipinsi quella Sicilia distrutta che appunto sembrava una immagine drammaticamente surreale...
Metafisica in Italia vuol dire De Chirico...
Sì, e io ho cominciato a sentirlo vicino quando ho scoperto, in Sicilia, quelle luci fortissime del pomeriggio e quelle piazze e assolate... Ma sai, De Chirico, come Böcklin, io li avevo sempre sentiti vicini...Io sono un pittore di paesaggi, ma i miei sono paesaggi segnati dalla presenza dell'uomo, e più dell'uomo del dio forse...Ogni paese ha il suo dio, nel senso di spirito, di immagine della divinità locale. I paesi della Sicilia sono pieni di immagini di Santi, di Cappellette, di tabernacoli, anche lungo le strade della campagna, per i contadini che vanno al lavoro, e che sostano un momento e pregano...Questo reca con sé molti misteri, ed è chiaro che mi interessano i pittori della Metafisica e del Surrealismo...
Capisco l'idea e la suggestione di questo paesaggio fortemente storicizzato, ma in che cosa consiste il tuo lavoro di pittore di fronte a questo?
In un lavoro di smontaggio e di rimontaggio, in un riportare l'interno all'esterno, e viceversa, nel mettere in luce il lato spirituale dell'uomo e del paesaggio: questo è la mia pittura...
Tu hai dipinto anche un singolarissimo omaggio a un grande pittore siciliano dell'Ottocento, Lo Jacono...
Dovevo realizzare un gruppo di dipinti su Palermo, era nell'85, fu allora che pensai di allargare il tema di Palermo anche alla pittura che già di Palermo si era occupata; un confronto con altri paesaggisti del passato in un certo senso, e un modo per ampliare il mio vocabolario pittorico... Così pensai a Lo Jacono che sicuramente è il più grande tra questi paesaggisti. E ho dipinto un grande quadro, nello stile di Lo Jacono, con il suo studio e i suoi dipinti, in parte già terminati come quello sul cavalletto, in parte ancora in lavorazione...Sono dipinti che io conosco nel loro stato ormai definitivo e che ho provato a reinventare nei loro passaggi intermedi. In più, fra gli oggetti di Lo Jacono ho inserito anche i miei: la mia tazza del cappuccino, la mia tavolozza con i colori...
Mi pare un dipinto bellissimo: e una operazione molto concettuale. Come tutti i tuoi dipinti del resto, che sono ricchi, da un punto di vista concettuale appunto, e tecnico. Una volta mi hai parlato delle tue ricerche sulle antiche tecniche della pittura. Come nasce esattamente un tuo dipinto?
Io disegno sempre, dappertutto, ho sempre con me un taccuino e dei fogli...Il disegno mi libera dal problema di disegnare sulla tela. Quando arrivo al quadro ho già studiato, a lungo, quell'dea con molti disegni, così affronto direttamente la tela con colore...
Come?
Per primo copro il bianco della tela, il più rapidamente possibile: mi disturba. Con dei grandi pennelli e in genere con un tono opposto a quelli che saranno poi i toni del quadro. Poi iniziare a impastare e a bilanciare i colori, porto su i toni e li sfumo, e gioco con l'acrilico e con l'olio...
Aspetta, non ti seguo...
Ma sì, sono le tecniche del '600. Si alzano i toni, per esempio un marrone lo si fa più scuro di quel che si vorrebbe, in modo da intervenire poi sopra con delle luci e con delle velature.. Può essere un colore acrilico di fondo e un olio come velatura...Un passaggio dallo scuro al chiaro, con colori opachi chiari e colori trasparenti scuri...Così si ottengono queste vibrazioni e questa idea di spessore, di profondità...
Mi sembra una operazione molto complessa...
Non lo è quando la si conosci. Poi, sai: i quadri migliori sono quelli che restano un mistero..
Anche per l'autore?
Soprattutto per lui...